Quando il paziente registra la conversazione col medico i risvolti giuridici. E’ un fenomeno sempre più ricorrente e diffuso grazie alle nuove tecnologie: i casi in cui è lecito e come impedirlo
Che cosa succede se un paziente registra la conversazione col medico, magari a insaputa dle professionista? Qualche anno fa la Regione Lombardia ha pubblicato sul fenomeno un vademecum, ancora attuale, destinato agli operatori sanitari (clicca qui per scaricare il testo completo) perché sono sempre di più coloro che muniti di smartphone decidono di lasciare traccia dell’incontro col medico. I motivi sono i più vari: qualcuno sostiene che si fa per permettere al paziente di riascoltare, successivamente, con calma, diagnosi e prescrizioni, comprendendole meglio; secondo altri, invece, per raccogliere prove di eventuali errori del sanitario da poter utilizzare in un successivo contenzioso legale. Già, ma tutto ciò è lecito? Poiché non ci sono specifiche disposizioni normative o indicazioni del Garante Privacy, occorre fare riferimento alla disciplina generale sulla registrazioni delle conversazioni.
Secondo la Cassazione la registrazione è lecita se effettuata in “luogo pubblico” o “aperto al pubblico” da soggetti “presenti” alla conversazione (cioè chi effettua la registrazione deve partecipare alla conversazione o comunque essere ammesso ad assistervi). La registrazione è lecita, riferisce Diritto.it, anche se viene effettuata in modalità “covert”, cioè all’insaputa della persona registrata. In fondo la registrazione costituisce una forma di memorizzazione di un fatto storico ed è lecita secondo il principio che chi si rivolge ad un interlocutore (in luogo pubblico o aperto al pubblico) si assume la responsabilità di quello che dice (accettando il rischio di essere registrato da chi è presente al colloquio).
La registrazione tuttavia, deve essere effettuata per fini esclusivamente “personali”. Proprio per questo motivo il soggetto registrante non deve fornire al soggetto registrato alcuna “informativa” ai sensi dell’art. 13 del Regolamento UE 2016/679 (visto che lo stesso Regolamento non si applica al trattamento di dati personali effettuato da persona fisica nell’ambito di attività a carattere esclusivamente personale). Quindi la registrazione (salvo esplicita autorizzazione del soggetto registrato) non può essere divulgata a terzi né diffusa (quindi, ad esempio, non può essere pubblicata sui social network). Può, però, essere utilizzata per fare valere o difendere un diritto in sede giudiziaria. Non è lecita, invece, la registrazione effettuata in un luogo privato o di pertinenza del soggetto registrato (ad esempio, la sua abitazione). Salvo, ovviamente, che non ci sia il suo esplicito consenso.
A tale proposito va precisato che lo studio medico (privato e/o convenzionato) del singolo professionista (ad esempio del medico di medicina generale), allo stregua di ogni altro studio professionale (come quello di un avvocato) è considerato un luogo privato, non aperto al pubblico. Ad esso, infatti, non accede la generalità indistinta degli utenti ma soltanto i pazienti del professionista con cui sussiste un rapporto di natura fiduciaria. Quindi chi intende registrare deve ottenere il consenso del professionista.
Sono invece luoghi aperti al pubblico quelli afferenti a soggetti pubblici (come gli ambulatori ed i presidi ospedalieri delle ASL) od a soggetti privati (come strutture sanitarie private) il cui accesso è consentito alla generalità degli utenti, pur nel rispetto delle condizioni ed i limiti posti da chi esercita un diritto sul luogo. Il testo del Pirellone parla di registrazioni a forte connotazione affettiva (memories), effettuate all’interno di una struttura sanitaria o anche in un luogo privato (come il domicilio del paziente), “finalizzate a serbare memoria di un momento della propria esistenza … particolarmente significativo e da condividere eventualmente” (come, ad es., l’evento nascita, con registrazione delle fasi del travaglio e del parto oppure la fase di recupero di funzioni motorie compromesse, ecc. ).
In questo caso, sempre che la registrazione non arrechi intralcio all’esecuzione delle attività sanitarie, occorre garantire i diritti (diritto alla tutela dei dati, all’immagine, ecc.) dei soggetti ripresi, anche accidentamente (gli operatori sanitari, eventuali altri pazienti, visitatori o altri), con necessità di chiedere il loro consenso ad essere ripresi. In secondo luogo le registrazioni audio/video di contatti con professionisti sanitari (al di fuori di loro studi medici personali) “in occasione di una prestazione sanitaria o di comunicazione di notizie sullo stato di salute”.
Sono queste le registrazioni meno gradite dai sanitari. Anche per il possibile turbamento che può insorgere nell’operatore che si vede video/audioregistrato dal paziente (o da suo accompagnatore) nello svolgimento della propria prestazione professionale. Atteggiamento, si legge su Diritto.it, che può minare il rapporto di fiducia che dovrebbe essere, invece, alla base di una relazione di cura. Fermo restando che anche in tal caso la registrazione non deve comunque arrecare intralcio all’esecuzione dell’attività sanitaria, secondo il documento della Regione Lombardia tali registrazioni possono essere considerate “una moderna espressione di prendere appunti, con il vantaggio di permettere una riproduzione fedele di quanto avvenuto, non solo come pro memoria, ma anche per consentire al paziente di meglio gestire un trattamento consigliatogli”. Tuttavia, prosegue il documento, se, a giudizio del professionista sanitario, la registrazione (sia quella effettuata in modalità “open”, cioè previa comunicazione di voler registrare, sia se in modalità “covert”) può influire in misura eccessivamente negativa sulla relazione terapeutica, lo stesso professionista dovrebbe comunicarlo al paziente chiedendogli di non eseguire la registrazione o di interromperla se già iniziata (pur non potendo, però, impedirla, aggiunge il documento della Regione Lombardia).
fonte: DottNet