Misurare il calcio nelle arterie predice il rischio d’infarto. Lo rivela uno studio presentato all’ American College of Cardiology Scientific Sessions di Atlanta dall’Intermountain Healthcare Heart Institute di Salt Lake City
Circa 6 milioni di persone entrano in un pronto soccorso ogni anno solo negli Stati Uniti con dolori al petto: Ma non tutti hanno un infarto, e molti non sono nemmeno a rischio, o sono a rischio molto basso, di averne uno. Un nuovo studio presentato all’ American College of Cardiology Scientific Sessions di Atlanta dall’ Intermountain Healthcare Heart Institute di Salt Lake City dimostra che l’ identificazione della presenza o dell’ assenza di calcio nell’ arteria coronaria dei pazienti può aiutare a determinare il rischio futuro di una persona.
La presenza di calcio dell’arteria coronaria può aiutarci a prevedere chi ha maggiori probabilità di avere un evento cardiaco, non solo nel prossimo futuro, ma anche quando arrivano i primi sintomi, assicura Viet Le, autore principale della ricerca. Per lo studio, i ricercatori hanno identificato 5.547 pazienti senza una storia di malattia coronarica che hanno avuto accesso all’ Intermountain Medical Center con dolore toracico tra aprile 2013 e giugno 2016.
Questi pazienti sono stati sottoposti a scansioni Pet/Tc per valutare l’ ischemia, un’ interruzione del normale flusso sanguigno attraverso le arterie cardiache ai tessuti muscolari del cuore. Questa scansione cerca anche la presenza di Cac, che sono depositi di calcio sulle pareti delle arterie del cuore, che indicano l’ aterosclerosi, segno distintivo delle malattie cardiache. I ricercatori hanno poi esaminato i risultati medici dei pazienti per i successivi 4 anni. I ricercatori hanno scoperto che i pazienti le cui scansioni hanno rivelato presenza di Cac avevano un rischio più elevato di avere un evento cardiaco entro 90 giorni rispetto ai pazienti la cui Pet/Tc mostrava di non avere alcuna traccia di Cac.
I ricercatori hanno anche scoperto che per i pazienti con Cac erano anche più probabili negli anni seguenti malattia coronarica ostruttiva di alto grado, interventi chirurgici di rivascolarizzazione o altri importanti eventi cardiaci, rispetto ai pazienti che non avevano calcio nelle coronarie.