Acque in bottiglia di plastica a rischio ingestione per il 90 percento. Analisi su 11 marche ma non in Italia. Esperto, mancano le norme. L’Oms indagherà
Quando versiamo l’acqua, probabilmente stiamo mettendo nel bicchiere anche un po’ di plastica: microframmenti impercettibili, che ingeriamo senza conoscere le conseguenze sull’organismo. A sollevare dubbi sulla sicurezza del bere è un’indagine commissionata dal progetto giornalistico Orb Media, che ha fatto analizzare il contenuto di alcune bottiglie trovando microplastiche nella maggior parte dei campioni. Un risultato su cui è intervenuta anche l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che, evitando allarmismi, ha annunciato future ricerche in merito agli effetti sulla salute, di cui ancora si sa poco.
L’analisi è stata condotta dall’università statale di New York a Fredonia su 259 bottiglie di 11 marche comprate in 9 nazioni dagli Stati Uniti alla Cina passando per l’India, ma senza toccare l’Europa. Gli esperti hanno rinvenuto in ogni litro una media di 10 particelle dalle dimensioni di 100 micron, come il diametro di un capello. La presenza di tali frammenti – evidenziano i ricercatori – è doppia rispetto a un’analisi condotta nei mesi scorsi sulle acque di rubinetto. Sono invece oltre 300 le particelle ancora più piccole trovate in ogni litro. Capire l’origine di questa plastica non è impossibile. Leggendo l’analisi si vede che il 54% dei frammenti più grandi è di polipropilene, il materiale con cui sono fatti i tappi, mentre il 6% è Pet, di cui sono fatte le bottiglie, osserva all’ANSA Loris Pietrelli, scienziato dell’Enea e docente al dipartimento di Chimica dell’università La Sapienza. Ciò lascia presumere che la plastica provenga proprio dalle bottiglie, o in fase di produzione o a causa di un cattivo stoccaggio.
Il problema va ben oltre l’acqua minerale, e riguarda ad esempio i pesci, che ingeriscono frammenti in mare e li portano nei nostri piatti. Col passare del tempo le microparticelle diventano nanoparticelle ed entrano nella catena alimentare. Ne sono state trovate tracce nel fegato del pesce spada, spiega Pietrelli. Molti frammenti sono resistenti, ma se arrivano nel tubo digerente già degradati, i succhi gastrici li degradano ulteriormente, e così possono entrare in circolo attraverso il sangue, ad esempio.
A fronte di questo, a tutt’oggi non esiste una casistica, un’indagine, né metodi analitici totalmente affidabili, evidenzia Pietrelli. A livello normativo siamo scoperti, non abbiamo limiti, né per i depuratori, né per la salute. Ammette le carenze Bruce Gordon dell’Oms: intervistato dalla Bbc, ha annunciato ricerche sui rischi potenziali per l’uomo. Non voglio allarmare nessuno, ha sottolineato. Dobbiamo capire se questi frammenti sono pericolosi e se sono presenti nell’acqua in una concentrazione pericolosa.