Il mal di schiena ha nella società industrializzata una diffusione epidemica.
Infatti quasi l’80% degli adulti incorre in questo disturbo, che è diventato una delle cause principali di visita medica ed una delle condizioni più frequenti di inabilità parziale al lavoro.
Tutto questo nonostante l’economia dei paesi sviluppati si basi su attività produttive sempre più automatizzate e con meno lavori pesanti per le maestranze.
Certamente lo stile di vita influenza pesantemente questa condizione: scarsa attività fisica alternata a pratiche sportive fisicamente impegnative senza un’adeguata preparazione di base, frequenti spostamenti in aereo, treno, auto, sedentarietà sia durante l’attività lavorativa sia durante il tempo libero.
Artrosi, osteoporosi, protusioni ed ernie discali rappresentano la causa più frequente di mal di schiena con eventuale irradiazione del dolore all’arto inferiore (lombosciatalgia).
Il disco intervertebrale è una struttura anatomica posta tra le vertebre con la funzione di ammortizzatore. E’ composto da una porzione centrale (nucleo polposo) che funge da cuscinetto ammortizzatore e da una parte fibrosa (annulus fibroso) che lo contiene. Con il passare del tempo l’annulus fibroso tende a perdere elasticità. Quando si verificano continue sollecitazioni, microtraumi, sforzi ripetuti, posture errate o posture obbligate protratte, l’annulus fibroso si sfianca perimetralmente portando alla condizione di protusione discale. Se si giunge a gradi estremi di sfiancamento l’annulus fibroso si rompe e una porzione della parte più interna del disco esce dalla propria sede andando ad impegnare le strutture nervose vicine (ernia).
Nella maggior parte dei casi (oltre l’80%) le ernie si manifestano a carico del 4° o del 5° disco lombare, a causa della maggior mobilità di questo tratto della colonna.
Fino a qualche anno fa il trattamento elettivo dell’ernia discale era di pertinenza chirurgica.
Attualmente il numero di interventi chirurgici si è notevolmente ridotto. La chirurgia infatti non è sempre risolutiva a lungo termine. Inoltre, in alcuni casi, soprattutto in caso di ernie voluminose, l’ernia stessa tende a riassorbirsi spontaneamente nell’arco di alcuni mesi.
Un numero consistente di pazienti trae beneficio da terapie mediche, che non modificano sostanzialmente la struttura dell’ernia discale.
Queste considerazioni hanno portato allo sviluppo di diverse tecniche di trattamento conservativo.
Tra queste l’ossigeno-ozonoterapia ha assunto un ruolo di particolare rilievo.
L’ossigeno-ozonoterapia risulta efficace in una altissima percentuale di casi (oltre il 75%), questo grazie ad un’azione multifattoriale.
L’effetto dell’ozono si esplica mediante un’importante azione antinfiammatoria ed antidolorifica essendo in grado di inibire la sintesi di sostanze pro-infiammatorie quali le prostaglandine, di inibire la liberazione di sostanze algogene come la bradichinina e di aumentare il rilascio di antagonisti di composti pro-infiammatori.
L’ozono inoltre, avendo un marcato effetto antiossidante, reagisce con l’acqua, principale costituente del nucleo polposo, contribuendo così a ridurre il volume dell’ernia. Per scopi biomedici, l’ozono, essendo un gas instabile, deve essere preparato estemporaneamente tramite un generatore che produce una miscela di ossigeno-ozono di cui il 95% è costituita da ossigeno mentre solo il 5% da ozono.
L’ossigeno-ozonoterapia con la tecnica paravertebrale classica prevede un ciclo di iniezioni nella muscolatura paravertebrale mediante l’iniezione con ago sottile di piccole dosi di miscela gassosa a livello dello spazio discale interessato. Il ciclo di ossigeno-ozonoterapia paravertebrale prevede in genere una decina di sedute di cui le prime a cadenza bisettimanale (nella forme iperalgiche) e successivamente settimanale. Le infiltrazioni si eseguono in ambito ambulatoriale con vantaggio per i pazienti che non devono interrompere l’attività lavorativa.
La metodica è ben accettata sia per la rapidità dell’effetto (riduzione dell’intensità del dolore dopo circa due-tre settimane di trattamento), sia per la buona tollerabilità e l’assenza di effetti collaterali.
Al termine del trattamento, risolta la sintomatologia dolorosa, per consolidare il risultato e diminuire il rischio di ricadute è opportuno associare una terapia riabilitativa.
E’ essenziale inoltre modificare lo stile di vita eliminando importanti fattori di rischio associati a questa patologia quali: l’eccesso ponderale, la sedentarietà, l’esecuzione di sforzi eccessivi legati anche a pratiche sportive e l’assunzione di scorrette posture.
Risulta dunque determinate, ai fini di una corretta gestione terapeutica della patologia, adottare un approccio multidisciplinare cercando di ottenere un’attiva partecipazione da parte del paziente.